L’opera nasce dal desiderio fortissimo dell’autore di fornire allo zio un segno tangibile del suo affetto, della sua riconoscenza perchè “i suoi consigli mi hanno fatto capire tante cose e mi hanno fatto affrontare la vita in modo diverso.” Così scrive nella introduzione Domenico e proprio queste parole mi hanno convinto.
In un mondo dove la violenza dei rapporti interpersonali sfocia quotidianamente in omicidi, in stupri o in risse cruente; in una società che ci sottopone in tutte le ore e in tutti i canali televisivi a scontri verbali e turpiloqui tra intellettuali e ministri che una volta, per definizione, erano tipici soltanto dei facchini e degli scaricatori di porto; in una società così degradata mi è sembrato che l’affetto, la riconoscenza, quasi la dedizione del nipote Domenico verso lo zio Mario meritassero un minimo di attenzione. “E’ facile, in una realtà come quella che stiamo vivendo, fare cose sbagliate e trovarsi con la vita distrutta ma lui ha il merito di averci tenuti lontani dai rischi e dalle occasioni pericolose: perciò il mio primo ringraziamento va proprio a lui, zio Mario.” …Le poesie dello zio carcerato, che non urla vendette né proclama ingiustizie, ci lanciano addosso la sofferenza della solitudine, il dolore della lontananza, l’assenza degli affetti. Non una parola contro chicchessia, non una invettiva contro la società.
Leggendo queste righe mi è sembrato di cogliere, non dico un insegnamento, ma certo un consiglio a sbandierare di meno le proprie esigenze: tutti chiedono diritti, tutti pretendono attenzioni e pochi onorano i doveri. Il nipote Domenico e lo zio Mario, avendo riconosciuto le colpe, si aspettano almeno un po’ di comprensione.
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